RLM #3 – Lo vuoi un confetto?

20140309-173705È una tiepida notte, con il cielo splendidamente stellato. Sono in una piccola e deserta piazza di paese, insieme a Valeria. “Come è bella questa piazza!” esclama. La giro verso di me e l’abbraccio forte. Anche lei mi stringe per un momento, poi d’un tratto si discosta e dice: “Non possiamo.” Ed io: “Va bene, vuoi che ti riaccompagni a casa?“. “Non voglio andare a casa!” fa lei. Si allontana ed entra in una chiesa dalla candida facciata neobarocca. La seguo a qualche passo di distanza ed entro anch’io.

L’interno è illuminato da una luce soffusa. Nelle nicchie alle pareti ci sono quadri di Madonne. Le guardo meglio: sono figure nude. Voglio farle notare questa stranezza. Valeria è davanti all’altare, oltre il quale c’è un enorme quadro di Madonna, vestita, che sembra la Madonna del Parto. Avvicinandomi mi rendo conto che l’apertura nell’abito è una grande vagina dischiusa, orlata di peli e perline. Mi riprendo dallo stupore e cerco Valeria. Lei è già davanti alla porta della sagrestia. L’apre e scompare oltre.

“È fatta così, è irrequieta” penso, mentre mi accingo a seguirla di nuovo.

Salgo delle scale poco illuminate e mi ritrovo in uno stretto corridoio dal pavimento a scacchi. Alla mia sinistra una serie di porte. Quella di fronte a me è socchiusa. Entro. La camera è ammobiliata con antichi mobili scuri. Ci sono piccole candele accese un po’ ovunque, come se un rito dovesse svolgersi, l’ambiente è in penombra. Il letto ha una coperta bianca finemente ricamata e Valeria è lì, seduta sul bordo, con la faccia appoggiata tra le mani, che mi attende pensierosa. Le accarezzo teneramente la testa e le dico: “Faremo l’amore solo se lo vorrai.” Non risponde. Senza alzare il viso mi sbottona i pantaloni, me lo tira fuori e se lo infila in bocca. L’uccello era già gonfio, ma tra le sue labbra diventa ancora più grande e duro. Allora solleva il capo dal fiero pasto e mormora: “Mettimelo dentro.” Ci ritroviamo entrambi nudi, con lei distesa sul letto. Contemplo per un istante quel dono, poi penetro nel suo seducente giardino. Mi muovo lentamente. Il suo sguardo si fa sempre più dolce e il suo volto si dipinge di un’espressione languida. Chiude gli occhi, i suoi gemiti si fanno via via più struggenti. Le sussurro in un orecchio: “Mettiti a pecorina.” Lei docilmente si gira e mi si offre di nuovo. Io mi avvicino e, mentre la punta del mio membro sfiora la sua albicocca aperta e bagnata, percepisco una presenza. “Valeria…” – la avverto – “C’è qualcuno che ci sta guardando.” “È il prete aggiungo. Lei lo osserva senza scomporsi e, con voce calma, afferma: “No, non è il prete. È mio padre.” Nella mente rivedo la foto di un uomo robusto, con occhiali da vista scuri, mostratami da lei tempo prima. “È vero, è suo padre” mi dico. La figura nel frattempo è scomparsa.

Valeria si sfila, si rimette in piedi dall’altra parte del letto, e torna a dire: “Non possiamo, non possiamo, vedi che non possiamo?“. Ed esce. Rimango a fissare la porta, inebetito. Mi accascio sul letto e fisso il soffitto cercando una spiegazione logica ad una situazione così surreale. E invece mi addormento.

E sogno.

Sogno di essere in mezzo a tanta gente chiassosa e sorridente, vestita in modo elegante, sul sagrato di una chiesa dall’aspetto modernamente banale. Sembra una domenica mattina. Non riconosco nessuno e mi sento come un pesce fuor d’acqua. Non so proprio cosa cavolo ci faccio lì. Fa caldo. Il brusio della gente si alza ed inizia un applauso. Da una limousine nera scende una giovane coppia vestita da sposi.

Passano davanti a me. Lei ha un’espressione radiosa, felice: è Valeria.

Si ferma, mi sorride e mi dice: “E tu che ci fai qui?“.

Come un cretino non riesco a dire nulla. Sento gli occhi di tutti puntati su di me. E Valeria: “Ma non dovresti essere all’altare? O ti sei dimenticato che ci dobbiamo sposare?“. Ed io, basito: “Chi, noi?”. Guardo l’uomo al suo fianco: ”Ma quindi, lui, chi è?“. “È mio fratello, stupido” risponde divertita.
Il prete e l’altare addobbato di fiori sono ora lì, davanti a noi, ed il prete… è il padre di Valeria che, con voce grave, mi chiede: “Allora figliolo, vuoi prendere Valeria, o no?“. Intimidito, farfuglio: “Nn…non possiamo.” “E chi lo dice?” insiste lui. “Valeria… dice che non possiamo. Lo ripete, in continuazione” dico, guardandola. “È vero, Valeria?” fa serio il padre, cercando la risposta nei suoi occhi.

Il sorriso di lei scompare e il suo volto si incupisce. Rimane muta, sembra sul punto di scoppiare a piangere… infine sviene, sorretta al volo dal fratello.

Mi risveglio sudato. Sono sempre nella stessa camera: è giorno, nell’aria c’è odore di cera spenta misto a incenso e sono disteso sul letto. Valeria è statuariamente nuda, a cavalcioni su di me e sta accogliendo il mio uccello nella sua fessura umida. Porta un velo da sposa con una corona di profumati fiori d’arancio e in mano ha un cofanetto azzurro che tiene davanti a sé. Comincia a muoversi, osservo le labbra della sua fica salire e scendere soavemente e penso: “Si, ora possiamo.” Valeria rallenta. Dal cofanetto estrae qualcosa che mi avvicina alla bocca e, sorridendo, mi chiede: “Lo vuoi un confetto…?”.

Esco bruscamente dal sogno.

Guardo l’orologio. Sono le sette. È ancora presto per andare ad aprire il mio negozio di bomboniere.
Mi riaccoccolo nel letto e abbraccio Valeria.

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